Luglio è tempo di letture estive, quindi per i tanti docenti che frequentano il nostro blog presentiamo la recensione di un libro che, nonostante sia uscito nel 2004, per noi è ancora di grande attualità ed interesse, in quanto la dimensione ludica nell’apprendimento è ormai considerata imprescindibile ad ogni “latitudine” glottodidattica ed è ovviamente il fulcro di tante attività che si propongono durante i nostri corsi a Castelraimondo.

Fabio Caon e Sonia Rutka, La lingua in gioco. Attività ludiche per l’insegnamento dell’italiano L2.

«Accettare dal punto di vista educativo l’idea della natura sociale dell’attività cognitiva e delle sviluppo intellettivo e psicologico implica la  necessità, da parte degli insegnanti, di predisporre contesti in cui possa aver luogo la co-costruzione di conoscenza; di ambienti sociali, quindi, che siano ricchi di stimoli in cui gli studenti possano apprendere dalla relazione e dal confronto con gli altri attraverso la continua negoziazione dei significati» (p. 14).

Se nella metodologia glottodidattica ludica – in piena linea con l’approccio umanistico-affettivo da cui discende – il discente è al centro del processo di insegnamento-apprendimento, sta nella piena presa di coscienza da parte dei docenti che ‘non si tratta solo di proporre un gioco’ il successo e la reale incisività nell’applicazione di tale metodo.

Ecco perché gli autori, pur presentando nella seconda parte del libro un ricco e stimolante ‘catalogo’ di attività che è possibile sperimentare nella classe di italiano L2, dedicano tutta la prima parte ad approfondimenti che non possono essere liquidati come pura riflessione teorica.

Da una rapida disamina degli studi neurolinguistici su bimodalità e direzionalità di Danesi, della Second Language Acquisition Theory di Krashen e della teoria delle intelligenze multiple di Gardner si evincono tutti i limiti connessi ad un modello trasmissivo di insegnamento secondo una modalità frontale ed esclusivamente verbale, e si apre la strada ad una definizione della glottodidattica ludica come metodologia che tiene conto delle indicazioni ministeriali, è adattabile a vari contesti, vari livelli e varie età dei discenti, è innanzitutto motivante, quale chiave di volta essenziale di un panorama educativo che ‘soffre’ sempre più dell’accresciuta distanza tra allievi e docenti.

Ora, lungi dal confondere il “gioco libero” e il “gioco didattico”, gli autori focalizzano comunque come principi fondanti la ludicità, il suo essere modalità strategica nella progettazione e nello sviluppo delle attività, la sua dimensione potremmo dire ‘olistica’, nel senso di pieno coinvolgimento di capacità cognitive, affettive, sociali, senso motorie.

Ovviamente la potenzialità della glottodidattica ludica che tanto la avvicina al gioco meramente inteso è la capacità di attivare quella che Krashen chiama “the rule of forgetting”, (la regola della dimenticanza), ovvero il concetto per cui «una persona acquisisce meglio una lingua quando si dimentica che la sta imparando, quando la sua attenzione si sposta sul significato veicolato dalla lingua e non sulla forma linguistica» (p.25) e questo è possibile solo ricreando un meccanismo il più naturale possibile e in quanto tale non diverso da quello attraverso il quale si è appresa la lingua materna.

Per essere realmente didattico, infatti, un gioco non può essere fine a se stesso, ma deve «coscientemente conseguire una finalità che si trova al di là del gioco stesso» (p. 29); ed ogni attività ludiforme deve intenzionalmente essere costruita per apparire sotto una forma divertente, piacevole, olistica, ma ‘nascondere’ altresì il percorso verso determinati apprendimenti.

Ma attenzione, non un esercizio camuffato da gioco, ma un gioco vero, con finalità didattiche. E che tali finalità, al di là dell’essere più o meno consapevolmente ‘nascoste’ siano infine oggetto di seria riflessione, è un altro dei punti cardine della glottodidattica ludica.

Questo soprattutto quando si lavora con adolescenti e adulti, perché renderli consapevoli dell’utilizzo di determinate tecniche (piacevoli quanto si voglia) ‘negoziando il metodo’ (p.40), è quel che permette – soprattutto nella fase finale di debriefing – di ottenere risultati di consapevolezza nel percorso didattico importanti.

Sebbene la glottodidattica ludica affondi nella “notte dei tempi”, l’incontro con il computer e la multimedialità ne ha offerto un rafforzamento in consapevolezza ed efficacia a partire dalla constatazione comune che “lavorare con un computer – almeno in prima battuta – è motivante di per sé”. Al di là di questo dato di fatto, diversi sono i fattori della glottodidattica ludica già visti che vengono esaltati nell’incontro con le Nuove Tecnologie, cominciando dall’aspetto motivazionale che nella veste grafica trova un validissimo alleato.

La presenza poi di contesti sfidanti, dell’interazione attiva tra studente e software-computer fino all’implicito legato alla ridondanza dell’informazione (meccanismo importantissimo nell’acquisizione di una lingua) e a facili dinamiche legate ad attività di autoapprendimento.

Tutta la seconda parte del libro mostra una ricca serie di “ricette” a disposizione della classe che vengono offerte con numerosi cenni di varianti possibili nella piena consapevolezza che la bravura dell’insegnante consiste non solo nel saper ‘adottare’ un metodo e riproporne pedissequamente le procedure, ma nel saperlo ‘adattare’ didatticamente agli allievi con cui si trova ad operare.

In conclusione il libro di Caon e Rutka si rivela uno strumento prezioso per «integrare alcuni obiettivi didattici ed educativi esposti nelle indicazioni ministeriali con delle tecniche didattiche, delle modalità di lavoro e di organizzazione della classe che gli permettano di attuare una didattica centrata sull’apprendente» quale si connota essere la glottodidattica ludica nell’alveo del più vasto approccio umanistico-affettivo.

 

Luca Di Dio

 

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